Nel 2006 il matematico britannico Clive Humby coniò l’espressione “data is the new oil”. Quasi vent’anni dopo, questa affermazione non è solo attuale: è drammaticamente concreta. I dati sono oggi il cuore pulsante delle organizzazioni, ma il modo in cui vengono protetti, recuperati e messi in sicurezza non tiene ancora il passo con la complessità tecnologica, le minacce cyber e la trasformazione cloud. Il “The State of Backup and Recovery Report 2025”, fotografa uno scenario chiaro: la resilienza dei dati è una priorità dichiarata, ma non ancora una realtà consolidata.

Un’infrastruttura sempre più complessa: multicloud e hybrid IT dominano. Oltre il 50% dei workload aziendali gira già su cloud pubblico, entro i prossimi 24 mesi, questa quota supererà il 60%. Microsoft Azure è la piattaforma cloud più utilizzata, seguita da Google Cloud Platform e AWS.
Questa frammentazione aumenta la flessibilità, ma complica enormemente la governance della protezione dati, rendendo più difficile garantire coerenza, test e tempi di recupero certi.
Il paradosso del backup: tutti lo fanno, pochi si fidano
- Solo il 40% degli intervistati è convinto che il proprio sistema di backup sia davvero in grado di proteggere i dati critici.
- Oltre il 30% ammette di temere che la propria strategia non sia sufficiente.
- Un altro 30% dichiara addirittura di “avere incubi” legati al backup e al disaster recovery.
Non stupisce quindi che oltre il 50% delle aziende stia pianificando di cambiare soluzione di backup entro 12 mesi, principalmente per tre motivi: 1. Costi elevati, 2. Scarse capacità di disaster recovery, 3. Difficoltà nei test di backup e ripristino.
Percezione vs realtà: quando il recovery non è come lo immaginiamo
Più del 60% delle aziende è convinto di poter recuperare i dati in meno di un giorno. La realtà, però, racconta altro:
- Solo il 35% riesce davvero a rispettare questi tempi.
- Una quota significativa impiega giorni o settimane per tornare operativa.
- Alcune organizzazioni dichiarano di non essere in grado di recuperare affatto determinati dati.
Backup e sicurezza: un bersaglio sempre più appetibile
Il report evidenzia un miglioramento nella protezione dei backup, ma anche zone d’ombra rilevanti:
- Il 75% delle organizzazioni ha policy di sicurezza sui workload protetti. Il restante 25% non applica controlli adeguati su cloud, endpoint o SaaS.
- Il 44% archivia backup nel cloud pubblico, ma il 28% li mantiene nella stessa subscription di produzione.
- Un preoccupante 8% non esegue alcun backup dei dati cloud.
Ancora più critico il tema delle credenziali: Solo il 33% usa password manager dedicati, il resto si affida a documenti, strumenti di knowledge base o soluzioni personali, aumentando la superficie di rischio.
SaaS: il falso mito della “protezione inclusa”
Uno degli errori più diffusi riguarda i servizi SaaS:
- Il 42% utilizza solo i backup nativi del vendor.
- Il 19% si affida esclusivamente alla disponibilità del servizio.
- Circa il 10% ritiene che il backup SaaS “non sia necessario”.
In realtà, le principali cause di perdita dati SaaS sono:
- Cancellazioni accidentali (34%).
- Misconfigurazioni (31%).
- Integrazioni errate con app terze (30%)
- Attori esterni e insider malevoli.
On-premises non è morto (e resta fragile)
Nonostante il cloud, i sistemi on-premises restano centrali: Le principali cause di outage sono guasti hardware (22%), ISP (19%), errore umano e ransomware (18%). Oltre il 40% delle aziende ha subito downtime superiori a un giorno. Solo una minoranza non ha registrato interruzioni operative nell’ultimo anno.
Dal backup alla resilienza: il messaggio netto è che “non basta più fare backup”. Serve una strategia integrata che includa: Pianificazione basata su RTO/RPO realistici, Backup immutabili e air-gapped, Testing automatizzato, Monitoraggio continuo, Integrazione tra on-prem, cloud e SaaS, Partner tecnologici capaci di garantire resilienza, non solo storage.
E’ ormai palese che la protezione dei dati non è più un tema tecnico, ma una leva di continuità, fiducia e competitività.
Nel 2025, il backup non è un’assicurazione silenziosa ma una strategia di sopravvivenza digitale.

