martedì, Ottobre 14, 2025

Solo il 6% delle aziende italiane si percepisce resiliente in ambito cyber.

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Una recente indagine condotta da PwC, intitolata “2024 Global Digital Trust Insights” rilancia un dato che lascia senza fiato: solo il 6% delle imprese italiane si dichiara in grado di resistere con successo a un attacco informatico. Se da un lato la cifra suona come una ammissione collettiva di vulnerabilità, dall’altro ci guida a interpretare un contesto nazionale dove il rischio informatico è pressoché centrale. Ma quali sono le cause nel panorama italiano? I fattori critici di inefficienza? Abbiamo delle vie d’uscita?

Il dato di partenza: 6%, ma cosa significa davvero?

Che solo 6 aziende su 100 si sentono “resilienti” è una spia d’allarme. Non significa necessariamente che il 94% sarà colpito domani, ma certo indica che la maggioranza delle organizzazioni si percepisce fragile: senza strumenti, processi o cultura adeguata.

Quel 6% rappresenta coloro che ritengono di avere

  1. processi formali di risposta agli incidenti
  2. backup e piani di disaster recovery ben testati
  3. difese tecniche aggiornate e integrate
  4. una governance della cybersecurity credibile.

Per definizione, queste aziende godono di un vantaggio competitivo in termini di reputazione, affidabilità nei contratti e capacità di attrarre partner e investimenti. Le restanti aziende invece, navigano a vista.

Il panorama italiano: attacchi in aumento, imprese in difficoltà

I dati italiani mostrano una crescita marcata degli eventi cyber. Secondo il Rapporto Clusit 2024, l’Italia ha registrato un +65% negli attacchi (o incidenti) rispetto all’anno precedente, con una prevalenza — per la prima volta — dei DDoS rispetto al ransomware, che comunque rimane una minaccia centrale.

Dal 2018 al primo semestre 2023, gli attacchi gravi verso aziende italiane sono saliti del 300%. In quel periodo, l’Italia è risultata bersaglio del 9,6% degli attacchi mondiali. Questo evidenzia come il Paese sia sempre più “nel mirino”, in un contesto internazionale sempre più conflittuale.

Nel settore salute e manifatturiero, classici ambiti critici, gli attacchi globali hanno colpito l’Italia per il 7,6% del totale, con un salto dell’83% nel settore sanitario rispetto al 2023.

Non è dunque una sorpresa che molte aziende dichiarino di non esser pronte. Solo l’1% delle imprese italiane raggiunge stadi di maturità avanzata in cybersecurity.

Inoltre, una rilevazione condotta su 131 organizzazioni (con oltre 249 dipendenti) mostra che la spesa in cybersecurity è cresciuta, ma l’adozione di sistemi è spesso parcellizzata. Analogamente, solo una minoranza (circa il 22%) dichiara di utilizzare gli strumenti di intelligenza artificiale in cybersecurity in modo esteso, pur con il 56% delle aziende che li ha introdotti almeno parzialmente. Infine, molte aziende investono, ma faticano a far divulgare la strategia, gestione operativa e cultura della sicurezza.

Le cause del divario: perché solo 6% si sente pronto

Carenza di cultura e consapevolezza: Spesso la cybersecurity è vista come costo o “antivirus migliorato”, non come elemento strategico. La formazione è insufficiente e il personale spesso non conosce le minacce emergenti, come l’AI-enabled phishing o gli attacchi supply chain.

Architetture disaggregate e tecnologie non integrate: Avere troppe soluzioni che non parlano tra loro può essere peggio che averne poche. Le aziende italiane mostrano spesso difese frammentate, con difficoltà di visibilità e correlazione degli eventi.

Gestione del rischio e governance carente: Molte imprese non hanno definito ruoli chiari (CISO, responsabile risk, comitati). Le policy di incident response non sono formalizzate o testate. La mancanza di processi standard li rende vulnerabili anche quando hanno buone tecnologie.

La scarsità di budget dedicati, tempi lunghi di ROI e la difficoltà di reperimento di figure specializzate.

 Strategie per scalare: come spostarsi dal 6% al 30, 50 o oltre, ecco una roadmap — ispirata a best practice internazionali

Diagnosi e assessment iniziale

  • Mappare asset critici e superficie d’attacco (IT, OT, cloud).
  • Utilizzare framework riconosciuti (NIST CSF, ISO 27001) per valutare lacune.
  • Simulare incidenti e testare le reali capacità.

Governance e ruoli chiari

  • Definire procedure di escalation, incident response, business continuity.

Investire in tecnologia integrata

  • Soluzioni endpoint / network / cloud gestite in modo unificato.
  • Automazione e intelligenza artificiale difensiva per rilevare anomalie in tempo reale.
  • Sicurezza zero trust: ogni accesso deve essere verificato.
  • Backup solidi, immutabili, ridondanti e testati.

Cultura e formazione continua

  • Programmi periodici per sensibilizzare ogni livello aziendale (dirigenti, impiegati, collaboratori).
  • Simulazioni di phishing e attacchi social engineering reali.
  • Coinvolgimento della leadership per trasmettere che la cybersecurity è prioritaria.

Monitoraggio, audit e miglioramento

  • Sistemi SIEM / EDR / XDR integrati per correlare eventi.
  • Audit regolari, penetration test, esercitazioni.
  • Feedback loop: migliorare continuamente policy e strumenti in base alle nuove minacce.

Concludiamo: un punto di svolta necessario

L’Italia si confronta con un futuro dove le minacce informatiche diventano sempre più sofisticate. In questo scenario, non basta “avere antivirus” o firewall, serve un salto culturale e strategico. Le imprese che oggi costruiscono resilienza non stanno solo proteggendo sé stesse, stanno ridefinendo i giochi competitivi. Nel prossimo decennio, la sicurezza potrà diventare un vantaggio strategico: quel 6% iniziale potrà trasformarsi in una percentuale rilevante di imprese che non solo resistono, ma prosperano.

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